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Quando si parla di pensioni si fa riferimento a due metodi di calcolo dell’assegno differenti: il primo è il metodo retributivo, il secondo è quello contributivo, (che a partire dal 1° gennaio 1996 ha sostituito completamente il retributivo).

Molti si chiedono il motivo per il quale il sistema retributivo risulta più efficace rispetto al contributivo e anche il motivo per cui dal 1996 stiamo utilizzando quest’ultimo meno vantaggioso.

Quali sono le differenze tra i due metodi? Come funziona il regime retributivo e perché è più vantaggioso? Quale conviene davvero?

Pensioni, metodo retributivo e contributivo a confronto

Dal 1° gennaio 1996 le pensioni si calcolano con il metodo contributivo anziché il vecchio metodo retributivo.

Il metodo contributivo – ad oggi utilizzato per il calcolo degli assegni pensionistici – valorizza i contributi versati dal lavoratore nel corso della sua carriera lavorativa e privilegia coloro che hanno tardato il collocamento in quiescenza. Nel calcolo del montante contributivo, comunque, contano tanto gli anni di lavoro quanto gli stipendi percepiti: per questo motivo, per avere una pensione più alta è importante aver mantenuto una carriera continua e ben retribuita.

Il sistema retributivo, invece, non privilegia il fattore dei contributi e a lungo andare sarebbe stato insostenibile per l’INPS. Questo metodo di calcolo, infatti, privilegia molto di più gli ultimi anni di lavoro ai quali sono corrisposti stipendi più alti rispetto all’inizio della carriera.

Metodo retributivo: perché è più vantaggioso?

Il metodo retributivo, come abbiamo detto precedentemente, premia gli ultimi anni di lavoro caratterizzati dalle migliori retribuzioni rispetto a quelle ottenute all’inizio della carriera. Ciò significa che non si tiene conto del percorso lavorativo dell’individuo, dei suoi progressi o dei contributi versati.

Per fare un esempio: un lavoratore accede alla pensione con metodo retributivo dopo 40 anni di lavoro e con un reddito pari a 30.000 euro all’anno.

Con il regime retributivo il lavoratore andrà in pensione maturando un assegno pari all’80% del reddito complessivo annuale (ovvero 24.000 euro all’anno). Calcolando la pensione, invece, interamente con il contributivo, il lavoratore avrebbe ricevuto il 54% del trattamento previdenziale lordo (ovvero circa 16.200 euro l’anno).

Tuttavia, come detto, a partire dal 1° gennaio 1996 è stato abbandonato il regime retributivo a favore del contributivo.