Bonifico sepa e pagamenti ellettronici in Italia

Il Governo ha da poco nominato un commissario straordinario per accelerare l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana, e dopo anni di continue riduzioni nello scorso anno la spesa della Pubblica Amministrazione in tecnologie digitali è tornata a crescere, toccando quota 5,6 miliardi con un più 0,5 per cento rispetto all’anno precedente. A testimoniare il giro di vite sono anche i vari interventi istituzionali che puntano a riqualificarla, con gli enti locali che sembrano sempre più consapevoli del ruolo del digitale per lo sviluppo, e praticamente tutte le Regioni italiane che hanno definito una strategia di attuazione della propria Agenda Digitale. Eppure, l’Italia resta ancora molto indietro rispetto alle altre nazioni d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il versante del sistema dei pagamenti elettronici.

Vince sempre la banconota. In Italia infatti vince ancora il contante, visto che secondo recenti stime l’87 per cento delle transazioni avviene in banconote, in controtendenza con quelle che sono le linee guida anche in ambito europeo e con il “buon senso”: sul portale Guida Fisco si legge un’interessante analisi informativa sul bonifico Sepa, strumento online che consente agli intestatari di un conto corrente bancario o postale di effettuare una transizione finanziaria utilizzando appunto il Web, che però sembra ancora faticare a diffondersi su larga scala nel nostro Paese, così come dura è la vita degli altri strumenti innovativi e digitali.

Cambio di passo in Olanda. Di tutt’altro livello la situazione nei Paesi Bassi, dove a fine anno scorso si è verificata una rivoluzione silenziosa: nel corso del 2015 e per la prima volta in ambito europeo, infatti, i pagamenti elettronici hanno superato quelli effettuati con i tradizionali contanti. In Italia, invece, ci muoviamo più a rilento: nel giro degli ultimi 12 mesi i pagamenti digitali sono aumentati del 10,3 per cento rispetto all’anno precedente, che già aveva chiuso con un positivo incremento di oltre sei punti percentuali, che conferma comunque un trend di crescita costante della diffusione degli strumenti di pagamento alternativi al contante.

La Svezia guida la rivoluzione. Un altro modello da seguire in Europa è quello della Svezia, dove si segnala un drastico calo nell’utilizzo di contante: ad esempio, sul totale dei 1600 sportelli bancari del Paese scandinavo ben 900 non maneggiano più banconote, e queste ultime hanno rappresentato solo il 2 per cento del totale delle transazioni effettuate nel 2015. Soprattutto nelle grandi città si creano delle “no cash areas”, zone in cui il contante non esiste.

Contro il denaro contante. In parole povere, si realizza l’obiettivo del “No Cash Day”, la giornata mondiale contro il denaro contante e a sostegno della promozione della cultura economica digitale; arrivata alla settima edizione, l’appuntamento con questo particolare evento è per il prossimo 27 giugno 2017, quando la battaglia partirà da Bergamo e da Copenaghen, allargandosi dunque all’Europa dopo un quinquennio esclusivamente italiano.

La giornata dei pagamenti digitali. L’iniziativa mira a sensibilizzare sui vantaggi dei nuovi mezzi finanziari, a partire dalle carte di credito: ancora una volta, in questo ambito i più virtuosi sono i Paesi nordici, in testa la Svezia con 250 operazioni l’anno pro capite effettuate tramite carta, mentre in coda c’è la Bulgaria con 7 operazioni l’anno. Con le sue 30 operazioni annue procapite, l’Italia è ancora ultima fra i Paesi più industrializzati che registrano basso utilizzo di carte. Per i promotori del “No Cash Day”, in occasione della giornata “tutti i cittadini europei sono invitati a utilizzare solo strumenti alternativi al contante e a promuovere la cultura dei pagamenti digitali”, anche perché “le transazioni elettroniche sono comode e veloci, mentre il denaro contante è costoso, deperibile e poco salubre”. A riprova di questo, vengono citati degli studi della Banca Centrale europea, che ha evidenziato come l’Europa spenda per il denaro ogni anno 60 miliardi di euro (pari allo 0,46 per cento del PIL), quota che in Italia supera i 10 miliardi di euro (vale a dire, 0,52 per cento del PIL nazionale, un costo da 200 euro l’anno).