Referendum trivelle

Parlando con un amico del cosiddetto “Referendum Trivelle”, ci siamo trovati a confrontarci sulle ragioni del voto e dell’astensione. Lui, fautore di quest’ultima, ha espresso un giudizio negativo nei confronti di coloro che hanno votato per il “sì”, definendo “pecorone” chi ha fatto questa scelta. Così, mi è venuta voglia di scrivere questo articolo, per spiegare il motivo per cui sono andata a votare e ho votato “sì”.

Nei giorni scorsi, ho cercato di formarmi un’opinione il più possibile oggettiva delle motivazioni del “sì”, del “no” e delle loro implicazioni. Ci sono riuscita appieno? Assolutamente no. Gli effetti di ognuna delle due scelte si perdono in un futuro, seppur non lontanissimo, sufficientemente in là da far sì che di acqua sotto i ponti ne passi in abbondanza. Ero convinta al 100% della scelta? Men che meno.

La vittoria del “sì”, per molti solo un pretesto per mettersi contro Renzi, avrebbe potuto incidere davvero in maniera significativa in positivo, ad esempio con un cambio di politiche di approvvigionamento di energia? Oppure in negativo, causando una crisi energetica e un aggravio di costi per il cittadino? L’idea che mi sono fatta è che no, anche una vittoria del “sì” non avrebbe cambiato davvero niente, perlomeno non nell’immediato. Infatti, le trivellazioni oggetto del referendum (quelle all’interno delle 12 miglia marine), da cui si estraggono gas naturale e petrolio, coprono rispettivamente il 2,1% annuo dei consumi (gas naturale) e lo 0,8% (petrolio).

Quindi, plausibilmente, non dovrebbe essere la loro chiusura a far peggiorare in maniera drastica la nostra situazione di mancanza di energia. Di contro, non porterebbe nemmeno benefici all’ambiente poiché non solo la maggior parte delle concessioni scadrà tra dieci o vent’anni ma rimarranno anche in funzione tutte le attività di estrazione di idrocarburi al di là del limite delle 12 miglia marine e sulla terraferma.

E allora perché sono andata a votare e ho scelto “sì”? La risposta è scindibile in due aspetti separati. Innanzitutto, ho votato “sì” per il significato simbolico che aveva e per il peso che potrebbe avere sulle politiche energetiche future. Mi si potrebbe rispondere: “non ne ha alcuno, perché questo referendum non ha implicazioni dirette su quel genere di scelte. In più, qualsiasi sarà il Governo, questo seguirà strade di interesse privato anziché pubblico”. Be’, al 99% sarà così. Però, è comunque un piccolissimo segnale che poteva esser dato. Che poi, questo segnale, venga recepito e usato, quello è tutt’altra storia.

L’altra domanda è: perché ho votato? La motivazione è forse banale e scontata però ho pensato: la formazione di un’opinione, il fare delle considerazioni traendone delle decisioni è compito mio; ma qualcuno, tanti tanti anni fa e prima che io avessi vita o una coscienza, mi ha regalato l’onere e l’onore di poter dare voce a queste mie considerazioni. E io ho fatto uso di questo regalo.

Ho sbagliato dicendo “sì”? È possibile. Però, la croce su quel foglio è (anche) sempre un modo di onorare chi il diritto/dovere di espressione non ce l’ha.