La recensione di Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese

Perfetti Sconosciuti, nuova opera del regista Paolo Genovese, recupera uno stile narrativo molto in voga negli ultimi anni nella commedia, specialmente in quella che ci arriva dalla Francia. Come in Carnage di Roman Polanski e in Le prénom di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, si basa quasi su un atto unico teatrale, una cena tra amici in cui un evento, un gioco, un contrattempo, rompe gli equilibri in un climax di situazioni che oscillano tra il comico e il drammatico. In questo caso, un gioco (il mettere in comune gli smartphone) diventa, come ne Le prénom, lo scherzo sul nome del nascituro, ciò che scardinerà equilibri e ipocrisie.

Sette amici, tre coppie di sposi e un singolo, si ritrovano a cena e, attraverso la scusa di svelare tutti i segreti delle chiamate e dei messaggi, si ritroveranno a dover spiegare bugie e tradimenti, ritrovandosi, appunto, “Perfetti sconosciuti”.
Il cast di ottimi attori aiuta nel gioco, che richiede in primis un’alta capacità recitativa e, più o meno tutti, sono stati all’altezza della prova, specialmente Valerio Mastrandrea, Marco Giallini e Giuseppe Battiston. Buona la prova della Rohrwacher, anche se come al solito un po’ schiacciata in alcuni canoni classici dei suoi personaggi.

Il giudizio su Perfetti Sconosciuti

Sicuramente un film leggero e adatto a una visione senza molto impegno. Rispetto ai cugini francesi, purtroppo, il film mostra il fianco all’eccessiva forzatura del gioco dei tradimenti, che raggiunge livelli farseschi quasi da cinepanettone, con una ricerca della risata becera e facile fatta di dialoghi eccessivamente essenziali, un registro linguistico e narrativo piatto e prevedibile, riferimenti sessuali e volgarità varie. Ci sono momenti più alti e quasi commoventi, come tutto ciò che ruota intorno ai personaggi di Battiston e di Giallini, ma risultano schiacciati da dialoghi scontati e una sceneggiatura che fallisce miseramente il passaggio tra il comico e il momento più riflessivo e drammatico.

Ammetto di non essere stato capace di capire se questa sensazione fosse condizionata dalla sala cinematografica in cui ho assistito alla proiezione, con risate che non ho compreso, in momenti per me non adatti alla risata sguaiata (spesso anche insopportabilmente infantili), o se tali risate decisamente fuori luogo rispetto ad alcuni momenti fossero legate ad una insufficiente capacità di rendere più sfumature nella sceneggiatura. Sta di fatto che la sensazione finale non è stata di piena soddisfazione, peggiorata da una conclusione imprevista e quanto mai slegata e forzata rispetto alla storia. Alla fine l’Italia ha provato, con Perfetti Sconosciuti, a guardare ad un certo cinema, senza dimostrarne le capacità e lo spessore di saperlo raggiungere.