L'Aula del Senato a Palazzo Madama

Il reato di tortura diventa finalmente realtà anche nel nostro paese, dopo trent’anni dal 10 dicembre 1984: giorno in cui l’Assemblea generale dell’ONU approvò “La Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti”, sottoscritta anche dall’Italia e mai ratificata dal Parlamento.

Durante la seduta pomeridiana di mercoledì 5 marzo, l’Aula del Senato ha infatti approvato, con 231 voti favorevoli e 3 astenuti, il testo unificato del disegno di legge sull’introduzione del reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano, che passa ora all’esame della Camera per la discussione definitiva.

Con il testo proposto dalla Commissione Giustizia vengono inseriti nel codice penale gli articoli 613-bis e 613-ter che, dopo alcune modifiche apportate al ddl presentato dal senatore Luigi Manconi, prevedono l’introduzione di un reato comune, connotato da dolo generico, anziché di un reato specifico riguardante esclusivamente i funzionari pubblici, come avrebbe voluto il presidente della Commissione Diritti Umani al Senato. La condotta di un pubblico ufficiale e l’istigazione di quest’ultimo alla commissione del reato di tortura verranno quindi considerate come mere circostanze aggravanti e punite con una pena dai quattro ai dodici anni di reclusione.

Cosa prevedono nel dettaglio gli articoli sul reato di tortura

Art. 613-bis (Tortura) – Chiunque, con più atti di violenza o di minaccia, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, ovvero mediante omissioni, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni.

Se dal fatto deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave le pene sono aumentate di un terzo e della metà in caso di lesione personale gravissima.

Se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte la pena è dell’ergastolo.

Art. 613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura) – Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Con la modifica di alcuni articoli già presenti nel codice penale si precisa inoltre che non sono utilizzabili dichiarazioni o informazioni ottenute attraverso il reato di tortura, se non contro le persone accusate di tale delitto e unicamente per provarne la responsabilità penale, che non si possono respingere, estradare o espellere persone verso uno Stato in cui rischiano di essere torturate e che non può essere riconosciuta l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro paese o da un tribunale internazionale.

Il commento di Amnesty sull’introduzione del reato di tortura

«Si tratta di un primo passo importante, anche se solo di un primo passo – ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia –. Il testo approvato dal Senato non è perfetto, meglio sarebbe stato attenersi alla definizione internazionale di tortura, ma è assai più accettabile ora che è stato rimosso il requisito della necessaria reiterazione del comportamento. Chiediamo alla Camera di procedere in tempi brevi alla calendarizzazione, discussione e approvazione della proposta e che si metta così fine all’imbarazzante ritardo con cui l’Italia onora il suo impegno internazionale di contrastare seriamente la pratica della tortura.»