La grande bellezza vince il Golden Globe

Ho visto La grande bellezza al cinema appena è uscito, ma alla fine del film non me la son sentita di scrivere niente; cosa che faccio raramente, visto che amo mettere nero su bianco osservazioni e riflessioni.
Effettivamente ero spaesato. Film complesso, visivamente importante, a volte non chiaro al primo passaggio, in cui converge tanto, troppo. Mi ero perciò ripromesso di rivederlo, possibilmente in dvd, avendo quindi anche l’occasione di fermarlo, di pensarlo…

La grande bellezza è un film schizofrenico, in cui contenuto e contenitore sono spesso così in contrasto, in cui narrazione e narrato si scontrano in maniera così violenta, che non può che lasciare disorientati.

Ammetto che spesso mi viene da pensare a una frase di Benigni che ricordava come “un popolo che non pensa più al proprio passato è pronto per la disperazione” e che “nei momenti più grandi bisogna sempre pensare da dove si viene”. E penso a come non si stanchi mai di celebrare il nostro glorioso passato culturale, artistico, umanistico, il grande contributo che il nostro Paese ha dato alla bellezza mondiale. Ed è così che Roma diventa simbolo di tutto ciò che di bello, immutabile, eterno il nostro passato ci ha trasmesso, cornice imperturbabile del passare di piccoli uomini, di piccole storie e miserie. I tanti secoli di Storia e arte accolgono quasi beffardi questo momento storico critico, e diventano splendida cornice di una realtà priva di eguale bellezza.

È ovvio che la decadenza e la follia di questo momento storico italiano, la perdita di prospettive, di valori, la miopia verso il futuro e la scarsa attenzione verso il passato sono il tema di fondo del film di Sorrentino che continua, dopo Il divo, a raccontare il nostro Paese. Anche lo stesso linguaggio cinematografico usato sembra voler ricercare la benevolenza del nostro passato, con atmosfere care a Fellini e Pasolini e un onirismo che fece sognare il mondo intero nel secondo dopoguerra.

Ho letto diverse critiche in merito, ma credo che tutti gli artisti debbano guardare i grandi Maestri del passato per andare avanti. E probabilmente il regista in prima persona accetta umilmente la loro lezione e ci suggerisce come non si possa fare a meno delle nostre radici per creare nuova (vera) bellezza.

Il messaggio è chiaro, di sicuro parziale (sarebbe assurdo tentare di raccontare approfonditamente tutto ciò che sta succedendo in Italia), legato più alla volontà di regalare emotivamente una suggestione, e ci mostra in un certo senso una possibile uscita dall’empasse in cui ci troviamo: nelle radici, nella nostra Storia, in tutto ciò che di bello abbiamo fatto c’è anche il nostro futuro, e la strada per uscire da questa situazione si trova tornando indietro, fin dove abbiamo dimenticato chi siamo, recuperando quella grande bellezza che ci circonda e ci avvolge e che Sorrentino ha provato a ricordarci.