Intervista a Carlo Gabardini dopo il suo coming out

Carlo Giuseppe Gabardini, attore e autore per televisione, cinema e teatro, il 31 ottobre scorso ha scritto una lettera aperta a un generico ragazzo LGBT nella quale ha rivelato di essere gay. La lettera è stata pubblicata su Repubblica ed è stata poi ripresa da molti altri giornali, online e cartacei. Circa un mese dopo la pubblicazione della lettera, il 2 dicembre, Carlo Gabardini ha realizzato un bellissimo video per la campagna Le cose cambiano che, tra le altre cose, ha dato vita al #nutellapride su Twitter.

Infine, tramite la responsabile del sito e dei social de Le cose cambiano, Chiara Reali, qualche giorno fa ho posto quattro domande a Carlo e queste sono le sue risposte.

Quattro chiacchiere con Carlo Gabardini

Come mai hai deciso di fare coming out, perché proprio adesso? E come mai hai deciso di fare il video?

Quando ho saputo che un ragazzo si era ammazzato alla Pantanella per motivi legati alle proprie inclinazioni sessuali, mi è preso un tale sconforto, una tale rabbia, un bisogno di piangere che per non so quale fortuna sono riuscito a trasformare in reazione. Ho scritto la lettera di getto, senza minimamente sapere né pensare che alla fine avrei fatto coming out, quindi è semplicemente successo che mi è sembrato giusto e naturale dirlo, in quel modo e in quel momento. Poi alla lettera ho rimesso mano, ché la scrittura è sempre riscrittura. Però pensavo di mandarla a Il Post, non immaginavo la prima pagina di Repubblica.
Il video nasce dalla richiesta di Chiara Reali per lecosecambiano.org e dal mio desiderio di parlare di omosessualità in un modo diverso.

Dato che spesso nel mondo dello spettacolo e dello sport si evitano i coming out per paura di rovinarsi la carriera, pensi che queste decisioni influenzeranno (negativamente) la tua?

Non lo so. C’è chi dice che per un attore sia più facile fare coming out e chi sostiene il contrario, appunto perché non ti offrirebbero più un certo tipo di ruoli. Non lo so. E mi sembra poco interessante litigare per capire per chi è più doloroso o arduo fare coming out.

Però ci tengo ad aggiungere una cosa, che ho già detto altrove. Nelle ultime righe della lettera scrivo: “Io della mia omosessualità non parlo mai perché penso che non sia una notizia. Ma se la non-notizia di esser gay, nel momento in cui viene dichiarata da tutti i gay, può salvare anche solo un ragazzo dal proprio proposito di suicidio, beh, allora lo dico: io sono gay”. Ecco, che sia una non-notizia continuo a pensarlo, però quello che non sapevo e non pensavo prima di scrivere, anzi: prima di veder pubblicata la lettera, è che l’azione di fare coming out sia così liberatoria, così utile anche a se stessi, così foriera di energia positiva e vitalità, dunque così necessaria. Ero stupido, ora lo sono un po’ meno. Ma solo un po’, purtroppo.

È stato più difficile il coming out nazionale o quello in famiglia (sempre che tu l’abbia fatto e che non siano venuti a saperlo dalla lettera)?

No, non sono venuti a saperlo dalla lettera, mia mamma e i miei fratelli. Sono stupido, non pazzo. Mi avrebbero, giustamente, fatto a pezzettini. Su quale coming out sia stato più difficoltoso, vorrei dire che credo che il coming out in sé non sia particolarmente difficile, è tutto ciò che viene prima che può essere complicato, doloroso, pieno di false direzioni, rischioso da affrontare in solitudine, e un sacco di altre cose delle quali bisognerebbe parlare.

Qual è stato il commento migliore (positivo) e il commento peggiore (negativo) che hai ricevuto per il video o per la lettera?

Il più bel complimento per la lettera è stato quello di un ragazzo che mi ha scritto, raccontandomi che suo padre, dopo aver letto Repubblica, l’ha chiamato e non si sentivano da 9 anni; da quando il figlio era stato cacciato di casa perché gay. Il commento più acido e negativo è stato quello di una ex-fidanzata, che non si capacitava d’esser stata esclusa dall’elenco finale in cui faccio alcuni nomi di miei ex amori.