La recensione del film Il passato di Asghar Farhadi

Attendevo con trepidazione Il passato, la nuova avventura cinematografica dell’iraniano Asghar Farhadi, premio Oscar per il film Una separazione. Nei suoi due film precedenti mi aveva conquistato il suo sguardo asciutto, profondo e arguto e la perfetta conoscenza dei tempi cinematografici.
Il passato, primo film girato fuori dai confini persiani, con un cast internazionale che vanta la presenza di una meravigliosa Bérénice Bejo (candidata all’Oscar come miglior attrice non protagonista per The Artist), mi conferma in pieno le ottime sensazioni delle precedenti opere.

Tutto nel film funziona alla grande: regia, fotografia, sceneggiatura, attori e la sensazione è davvero di assistere a una prova di grande cinema come di rado si può vedere nelle sale ultimamente. Il regista ha saputo dosare la giusta leggerezza nella scrittura, evitare l’effetto melò, la suspance in dosi sempre maggiori con repentini e continui colpi di scena, l’attenzione alla veridicità delle reazioni (complici gli attori assolutamente perfetti).

Ahmad atterra a Parigi, dopo quattro anni, dall’Iran per chiudere definitivamente il capitolo matrimoniale con la sua ex moglie Marie, pronta a risposarsi e cominciare una nuova vita. Ritroverà una situazione affettiva diversa, in crisi, schiacciata in non detti e in reciproci sospetti e accuse che rischiano di far esplodere la situazione.

Con un ritmo sempre più concitato, giocando con i colpi di scena, si apre un vero e proprio thriller emotivo sentimentale alla scoperta di quella verità di cui tutti i protagonisti del film sono portatori in parte; parte che, rimanendo all’oscuro del resto, genera pregiudizi, sospetti, rancori.

Con tatto e amorevole distacco, il film si dipana tra confessioni e accuse con una perfezione narrativa tale da essere indotti, di volta in volta, come spettatori, a rileggere la storia secondo i vari punti di vista, concordando con il protagonista di turno sulle accuse e sulla presunta verità, fino a scoprire poco dopo tasselli in più che ridisegnano dinamiche e responsabilità.

Il passato ha quasi la dimensione di un giallo, con Ahmad che, con il dovuto distacco, cerca di indagare, mediare, favorire il dialogo. L’aspetto interessante è come questa dimensione vada oltre il genere, l’indagare chi ha commesso cosa, per svelare i vari protagonisti nelle loro debolezze, paure, nei loro rancori, il tutto senza reale condanna verso nessuno di loro, solo voglia di mostrare i percorsi emotivi che spingono una famiglia a scontrarsi, non capirsi e provare a confrontarsi.

Perché il passato può nascondere verità non dette che pesano come macigni e la loro scoperta può mostrare la strada più giusta (ma non necessariamente non dolorosa) verso il futuro.

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