Scena del film I figli della mezzanotte di Deepa Mehta

Ho conosciuto la regista indiana Deepa Mehta grazie alla splendida trilogia Water-Earth-Fire, il cui film Water le valse la nomination all’Oscar come miglior film straniero (chiunque non l’abbia visto è caldamente invitato a recuperarlo), e attendevo da tempo una sua nuova opera.

Deepa Mehta porta sul grande schermo Salman Rushdie

La recensione del film I figli della mezzanotte di Deepa MehtaIl cinema di Deepa Mehta si caratterizza per uno sguardo sul suo Paese scevro di sovrastrutture “bollywoodiane” e di quel lato kitsch che accompagna a volte il cinema indiano. Uno sguardo duro, severo, che in passato ha raccontato il dramma della donna in India, la scandalosa storia dei conventi delle vedove bianche, l’amore omosessuale, i contrasti religiosi, non arrendendosi nemmeno davanti ai tentativi di boicottaggio da parte del suo stesso Paese.

Una donna così non poteva che sposare l’idea di mettere sul grande schermo il testo più importante di uno degli autori più controversi, combattuti, criticati e allo stesso tempo premiati e lodati dalla critica occidentale: Salman Rushdie.

Ammetto di non aver letto I figli della mezzanotte, pur sapendo il peso (in tutti i sensi) di quest’opera all’interno della letteratura contemporanea: una grande epopea che percorre l’intero secolo scorso attraverso le tappe più importanti della storia di India, Pakistan e Bangladesh. Il tutto letto e tradotto secondo gli occhi dell’autore – che in questo caso si sposano perfettamente con quelli della regista – che lo interpretano in senso metaforico attraverso la vita dei “figli della mezzanotte”: tutti quei bambini nati tra la mezzanotte e l’una del 15 agosto 1941, giorno della dichiarazione di indipendenza dell’India e del Pakistan dal Regno Unito.

Il tutto viene raccontato attraverso la vita di Saleem e Shiva, due bambini nati precisamente a mezzanotte, ambedue dotati di superpoteri, di due ceti diversi (uno ricco e uno povero), scambiati in culla dall’ostetrica e le cui vite si intersecheranno e scambieranno, seguendo i moti del Paese; e saranno costantemente l’uno la nemesi dell’altro: l’unione e la divisione, il dialogo e la guerra, la mente e la forza.

Attraverso un linguaggio che richiama fermamente il realismo magico, ecco che emerge una violenta critica alle divisioni, alle guerre fratricide, alla politica corrotta. Si raccontano i legami umani che vanno oltre i legami di sangue e il superamento di caste e divisioni legate allo stato sociale.

In tutto questo Deepa Mehta è stata favolosa nel rendere la forza, la sensualità, i contrasti della trama, dirigendo un film affascinante e ipnotico che non rende minimamente pesanti le due ore e venti minuti di durata.

Personaggi, paesaggi, musiche: tutto funziona perfettamente.

E se proprio c’è qualcosa che rende il film non completamente riuscito è il permanere di alcuni momenti oscuri, non ben definiti, e forse comprensibili solo da chi ha letto il libro. Purtroppo è il rischio della riduzione cinematografica di una storia così complessa; ma non lo ritengo un vero e proprio limite, o almeno non del tutto, visto che è grazie a questi dubbi che ho avuto voglia di intraprendere la lettura del testo.

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