Qualcuno da amare

Presentato in anteprima alla 65ª edizione del Festival di Cannes. Con Ryo Kase, Rin Takanashi e Tadashi Okuno.

Qualcuno da amareAvvicinarsi al cinema di Kiarostami è sempre un’esperienza interessante e stimolante. Come massimo esponente del cinema iraniano, vediamo esplicata la cultura cinematografica persiana, imperante nella sua forma più alta, anche quando esce dai confini dell’Iran.

Da Il sapore della ciliegia a Dieci fino al più recente Copia Conforme, il Maestro ci ha abituati a piccole, essenziali storie, fotografie di istanti che diventano fonte di riflessione più profonda sull’esistenza e sulla psicologia umana.
Non ci deve quindi meravigliare che anche in Qualcuno da amare la storia si esplichi tra pochissimi personaggi (tre principali e pochi secondari) in un lasso di tempo brevissimo, un giorno; e fermarsi alla sola storia senza farsi qualche domanda renderebbe la visione di questo film un’occasione persa.

Protagonisti sono Akiko, una ragazza che si prostituisce mentre si mantiene agli studi e che tenta di portare avanti una vita normale al di fuori della sua professione, un anziano professore in pensione, suo cliente per una notte, e un giovane fidanzato geloso e sospettoso.
A confronto tre persone che necessitano di amore, un amore che declinato in tre modi diversi rischia di esplodere in maniera incontrollabile.

L’incontro tra i tre personaggi farà partire un gioco di finzioni atte a difendere la giovane Akiko dalla gelosia del fidanzato, e il buon professore diventerà nonno di Akiko per un giorno.

Qualcuno da amareSi potrebbe dire che è proprio nel gioco di finzioni, e del rapporto tra verità e finzione, che si crea un ideale ponte che parte dalla Toscana di Copia Conforme e arriva alla Tokyo di Qualcuno da amare.
Ma se nel precedente film la finzione invadeva la realtà fino a confondersi con essa e ad esserne quasi indistinguibile, ora sono ben distinte e l’una quasi si protegge dall’altra, rimanendone separata in maniera netta ed evidente.

La vicenda piano piano va a svolgersi quasi come delimitata nello spazio e nel tempo come su un palcoscenico virtuale, dove gli spazi sono ben segnalati anche attraverso una fotografia che, come sempre nel cinema di Kiarostami, diventa chiave interpretativa del film.

E non sarà un caso che la storia si sviluppi quasi sempre protetta dal vetro di un auto, che le bugie raccontate dai due protagonisti saranno sempre raccontate in auto e che tutta la storia centrale inizi e finisca con lo stesso gesto da parte di Akiko (all’inizio) e del professore (alla fine), quasi come un invisibile sipario che si alza e si abbassa sulla commedia.

Al di fuori di questo palcoscenico, la verità è spesso lì che osserva, commenta, domanda, pressa per entrare in maniera sempre più insistente, in un climax dirompente che farà esplodere alla fine ogni barriera, ogni protezione, ogni difesa.

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