Con Geoffrey Rush e Sylvia Hoeks. Candidato a 13 David di Donatello.
In un complesso ingranaggio si dipana un intenso e perfettamente cadenzato thriller che ci riporta ai tempi de La sconosciuta.
Siamo a Roma e Virgil Oldman, freddo e calcolatore battitore d’asta, si ritrova a confrontarsi con una giovane donna problematica e dal passato – e presente – alquanto oscuri e tormentati. Virgil ormai è avanti con l’età e, inaridito dalla solitudine, ritrova la sua umanità solo al confronto con le grandi opere del passato e in particolare con i grandi ritratti femminili.
La storia dell’incontro tra due anime che sono diventate chiuse e sterili dai rispettivi passati e la graduale scoperta di sentimenti assopiti, evolve parallelamente alla scoperta di ingranaggi che ricompongo un automa di Vaucanson – meravigliosa riproduzione di un umano – e come l’automa dovranno fare i conti con il rapporto tra realtà e sua riproduzione.
Tornatore costruisce un intenso e misterioso thriller psicologico dalla doppia lettura.
La prima, quella più evidente, sui rapporti umani, sui rapporti di fiducia e sul sentimento intergenerazionale.
La seconda lo avvicina invece all’ultimo cinema di Kiarostami che già ci aveva presentato con il suo Copia conforme il tema del rapporto tra arte e realtà, tra la riproduzione della realtà e la realtà stessa, sicuramente con appiglio meno filosofico e forse più disincantato e amaro.
I protagonisti, un meraviglioso Geoffrey Rush (premio Oscar per Il discorso del Re) e una magnetica Sylvia Hoeks, duettano in maniera convincente e affascinante, aiutati da una fotografia a dir poco perfetta (l’ultima scena meravigliosa) e dalla colonna sonora del Maestro Morricone.