La recensione di Pietà, l’ultimo film di Kim Ki-duk Leone d’Oro alla 69esima edizione del Festival di Venezia.

Pietà di Kim Ki-dukProvo a raccontare Pietà dalla mia sensazione finale. Quell’annientamento che mi ha lasciato sprofondare sulla poltrona impietrito e sconvolto, quella sensazione di sofferenza che cresce, cresce, cresce per tutto il film, quella violenza raccontata e avvertita che ti sconvolge più di quella mostrata.

La disperazione negli occhi di madri e mogli, la mancanza di speranza, l’assenza di prospettive che vadano oltre la morte, la sofferenza e il sacrificio.

Lee Kang-do è uno strozzino senza cuore: dopo aver prestato soldi a tassi elevatissimi e aver fatto stipulare come garanzia polizze contro l’infortunio, storpia le sue vittime al mancato pagamento, senza pietà e senza ripensamenti, facendo sprofondare le vittime e le loro famiglie nella più drammatica disperazione.

Pietà di Kim Ki-dukUna donna improvvisamente entra nella sua vita, presentandosi come sua madre e alterando quella quotidianità fatta di violenza e crudeltà.

Chiariamo subito: Pietà è un capolavoro. Uno di quei film che ti penetrano, ti scalfiscono e ti lasciano segni che perdurano ben dopo i titoli di coda.

È violento, dalla prima all’ultima scena la violenza si vede ma soprattutto si sente. Kim Ki-duk in questo è un Maestro: nessuna scena splatter, nessuna immagine “eccessiva” né troppo esplicita; tutta la violenza si vede nell’attesa, nella disperazione durante l’atto negli occhi delle vittime, nella disperazione del dopo.

E si soffre, si soffre della disperazione delle madri che perdono i figli, delle mogli che assistono mariti disabili, nella rabbia di bambini che vivono la sofferenza dei genitori. Si percorre con il protagonista un viaggio nelle vite di tante famiglie sconvolte e distrutte; distrutte sì dalla mutilazione, ma anche dal rimorso, dal pentimento di aver ceduto a un sistema che li ha annientati come persone e deformati prima ancora che esternamente, internamente, nella loro dignità di persone, nel loro rispetto per se stessi e per i loro cari.

Pietà di Kim Ki-dukSi vede rassegnazione e rabbia, l’umanità di madri distrutte dal dolore e la rabbia negli occhi dei figli.

In tutto questo emerge la figura di Jang Mi-sun, figura salvifica (che non a caso nella locandina è assimilata alla Madonna in una meravigliosa rivisitazione della Pietà michelangiolesca) che attraverso la vendetta e il riscatto, recupera e fa recuperare la dimensione umana a Lee Kang-do, fino a una redenzione fatta di acquisizione di consapevolezza e fratellanza.

Pietà è un racconto di umanità spoglie davanti alla crisi, di piccoli uomini e piccole donne vittime dei loro stessi bisogni e desideri; di povertà, di crisi economica e di valori, della mancanza della pietà nel senso di solidarietà e comprensione fraterna. E non c’è da parte del regista condanna piena nemmeno verso Lee Kang-do, pedina di un sistema corrotto e sbagliato, più grosso di lui, e sostituibile in qualsiasi momento.

Kim Ki-duk Leone d'Oro a VeneziaÈ un film cupo, buio, quasi privo di luce, al massimo presente nella concezione di sacrificio come espiazione e come speranza per una generazione e un futuro prossimo. Una speranza che risiede nella condanna e nel superamento del sistema capitalistico/consumistico (Kim Ki-duk non è mai un regista dai film molto prolissi e la ripetizione quasi mantrica della maledizione dei soldi non è casuale), nel recupero dei valori più umani di pietà, fratellanza, comprensione, e che comunque passa attraverso il sacrificio e la rinuncia.

Speranza che non trova traccia in chi vive il presente, ma che è solo segnata come strada unica da percorrere. Una strada che è segnata dal sangue versato e che si verserà ancora.