JAZZ, 1978

Siamo giunti a JAZZ e, quindi, siamo ormai a metà del nostro viaggio nell’universo delle Regine.

Questo è il settimo album, in sette anni di carriera, ma non fatevi spaventare dal nome: contiene di tutto, come ogni LP dei Queen, tranne il jazz.

Contiene anche la mia canzone preferita di quand’ero bambina: Bicycle Race. E a quel tempo non avevo ancora visto il video, né la copertina del singolo (che fu chiaramente censurata, all’epoca: notate le mutandine disegnate)!

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Un paio di curiosità sul video: nella parte girata in interno, con il gruppo, si vede il palco del Killer Tour, da cui fu tratto il primo album live dei Queen. Caratteristica principale di quell’installazione era l’impianto luci mastodontico che, tra band e addetti ai lavori, è stato soprannominato “pizza oven”, forno per pizze. E ho detto tutto.

Per la parte in esterno, invece, la band affittò l’intero Wimbledon Stadium per far gareggiare in bici 65 modelle vestite, per l’occasione, con calzettoni e scarpe. E basta! Quando la ditta che aveva dato le bici in noleggio scoprì l’uso che ne era stato fatto costrinse la band a far sostituire tutti i sellini. Che stolti, avrebbero potuto metterli all’asta per il doppio del loro valore, o forse di più!

Ma torniamo all’album: Mustapha, il primo brano, scritto e pubblicato oggi ti farebbe trovare Al Qaeda fuori dalla porta di casa. Un gay infedele e promiscuo che si permette di cantare in arabo e nominare Allah? Calderoli è un dilettante.

Per far accompagnare bene la copertina di Bicycle Race anche con il secondo lato A, Brian May decise bene di comporre un brano hard rock intitolato Fat Bottomed Girls. Si dice (è difficile trovare le fonti, in questi casi) che il chitarrista abbia composto la canzone dopo aver conosciuto – in senso biblico, credo – una groupie un po’ in carne. È un uomo romantico, mica scherzi.

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“Oh, to fall in love was my very first mistake” dice Freddie in Jealousy, la ballata al pianoforte che non può mancare in un album dei Queen. E John Deacon, come sempre, nell’ombra fa il lavoro sporco di dare movimento a tutta la faccenda col suo fedele Fender Precision bass. Lo stesso John fa un buon lavoro anche con il secondo hard rock dell’album: If You Can’t Beat Them che fa sfogare Brian e la sua Red Special in un paio di lunghi assoli. Da godere.

Se Freddie Mercury in persona vi dicesse: “Lasciate che vi intrattenga, sono venuto qui per vendervi il mio corpo. Vi posso mostrare un po’ di buona merce” voi che cosa fareste? Una buona idea è sedersi, indossare un paio di cuffie e ascoltare Let Me Entertain You a tutto volume. E se restare seduti vi risulta difficile, sfogatevi con la vostra air band. Se, poi, vi siete gasati e non ne avete ancora abbastanza di hard rock, c’è anche la seguente Dead On Time di Brian.

In Only Seven Days, seconda composizione di John nell’album, prosegue sulla scia delle canzoni di NOTW. Il brano che segue è quello che più si avvicina al jazz del nome del disco. Dreamer’s Ball sembra un vecchio blues e Brian l’ha dedicato al Re Elvis Presley, morto l’anno prima.

Il ’78 è un anno pericolosamente vicino agli anni ’80 e Fun it lo dimostra. Roger traghetta i Queen verso la disco e il funk. Molte saranno le vittime di quello che, per tanti fan, fu un naufragio della band (ma anche della musica in generale) e una di queste comincia a soffrire già da ora: la batteria, costretta a produrre suoni agghiaccianti. Recitiamo rispettosi un eterno riposo.

Leaving Home Ain’t Easy è la “solita” canzone folk di Brian, che stavolta propone dei “levari” (plurale di levare, contrario di battere) che mi prendono sempre tanto.

Il penultimo brano di JAZZ è la famosissima Don’t Stop Me Now. Non credo di doverne parlare, ma voglio ricordare che il 5 settembre 2011, in occasione del compleanno di Freddie, Google l’ha utilizzata in un bellissimo doodle. Mentre, il mese scorso, Adidas l’ha presa in prestito per un omaggio alla squadra olimpica della Gran Bretagna:

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L’album si chiude con un’altra canzone di Taylor e l’autoironia tipica dei Queen, l’ultima frase del brano e del disco è infatti: “No more of that JAZZ!”