Giacomo Pilati Sulla punta del mare

Giacomo Pilati è nato a Trapani, nel 1962. Ha scritto per diverse testate, da Il Giornale di Sicilia a La Repubblica, e lavorato in televisione come autore (Maurizio Costanzo Show, I Fatti Vostri), regista e conduttore; vincendo svariati premi per le sue inchieste giornalistiche. Nel 2009, il suo libro Minchia di Re è “diventato” il film Viola di mare, con Valeria Solarino e Isabella Ragonese. Ad aprile del 2012 è uscito per Mursia il romanzo Sulla punta del mare. Di questo, e non solo, ci parla nell’intervista che segue.

“Sulla punta del mare” è il tuo ultimo romanzo, una storia d’amore assoluto che, tra America e Sicilia, attraversa dieci anni pieni di tormento in cui i protagonisti si prendono, si lasciano e cadono nella follia. Da cosa è nata la scelta di raccontare questa storia, liberamente ispirata a una parte della biografia del poeta siculo-americano Nat Scammacca?

Alcuni anni fa ho inserito la storia di Nat Scammacca, attraverso il ricordo della moglie Nina Di Giorgio, in un’antologia di donne siciliane dal titolo Le altre siciliane. A lavoro finito questa vicenda di amore estremo continuava a bussare nel cuore e mi chiedeva di essere raccontata per intero. Una esigenza fisiologica per svelarne i punti oscuri, una necessità di comprenderne le ragioni rivelando due mondi diversi eppure uguali: l’America e la Sicilia degli anni ’50 e ’60.

Il personaggio di George nasce dalla realtà per poi allontanarsi, entrando in quello che è stato definito “il mondo del sogno d’autore”. Perché la scelta di accompagnare poi il personaggio in diverse – questa volta reali – sedute dallo psicologo? Che esperienza è stata?

Sentivo il bisogno di decifrare la schizofrenia, entrare dentro i suoi meccanismi per poter accedere alle segrete intenzioni della mente quando la delega all’istinto è totale. Il mio personaggio allora l’ho mandato in analisi. Con un gruppo di psichiatri e psicologi palermitani abbiamo avviato una terapia che ha avuto al centro, per diversi mesi, il protagonista del mio racconto. Lui era lì, steso sul lettino, e io raccontavo le vicende del romanzo che stavo scrivendo e loro discutevano con me le cause, ma anche i suoi comportamenti. Una esperienza davvero straordinaria.

Il lettore può avere qualche difficoltà a capire e parteggiare per George, com’è stato il tuo rapporto con lui, soprattutto dopo la terapia? Sei riuscito a comprenderlo e a stare dalla sua parte?

Ho cercato di entrare dentro ciascuno dei due protagonisti, George e Laura. E l’idea di farli parlare tutti e due in prima persona nasce proprio dalla precisa volontà di non esprimere giudizi morali ed etici sui loro comportamenti. George è Odisseo. Raccontando la sua vita mi sono accorto che c’è dentro tutto il Viaggio dell’Eroe, la storia di tutte le storie. George che si allontana da Itaca, affronta perigliose battaglie, strabilianti avventure, combatte antagonisti reali e immaginari, resiste alla seduzione delle sirene e di Circe. E dopo la risoluzione del conflitto torna ad Itaca, la Sicilia, per liberarla dai proci e per riabbracciare Penelope-Laura che lo aspetta, devota ed ostinata. George è alla ricerca della libertà assoluta, la libertà senza regole che lo porterà alla follia. Ma senza questo processo di formazione non sarebbe mai diventato quella persona nuova che era.

Sulla copertina del tuo romanzo appare un geco. Il lettore scopre pian piano il perché di questa figura, ma mi piacerebbe che tu ci accennassi qualcosa.

Il geco è un animale apotropaico e in Sicilia sono convinti che allontani davvero le sventure. Per questo il geco regna indisturbato sui muri della case di campagna, a differenza della lucertola, preda invece di fionde e di trappole. Come Salinger nel Giovane Holden si chiedeva dove vanno a finire le anatre quando il laghetto a Central Park si ghiaccia, io mi sono chiesto dove vanno a finire i gechi quando scompaiono dai muri. Il mio George è come il geco, se ne starebbe tutta la vita immobile attaccato al muro del presente, a idealizzare l’amore, a cantarlo nei suoi versi, se l’amore non si presentasse in carne e ossa obbligandolo a guardarsi la punta dei piedi. Quando l’amore vero arriva, lui scappa proprio come fanno i gechi quando arriva il freddo a scorticargli la pelle. E va ad attaccarsi ad un altro muro.

Sia “Minchia di Re”, il romanzo che ti ha fatto conoscere al grande pubblico, che “Sulla punta del mare” sono ambientati in epoche lontane dalla nostra ma che possono raccontare ancora di noi. Hai mai pensato ad un progetto letterario ambientato proprio ai giorni nostri?

Ho narrato la fine dell’800 e ora gli anni ’50 e ’60 per raccontare i nostri tempi difficili, il rapporto fra il potere e la verità nel primo, ora lo spaesamento di chi non ha luogo.

Che rapporto hai, oggi, col romanzo “Minchia di Re”, diventato anche opera cinematografica grazie alla collaborazione con Donatella Maiorca e Maria Grazia Cucinotta? Avresti mai pensato che il tuo libro sarebbe diventato un film? Com’è avvenuta la trasposizione?

È stata un’avventura molto avvincente, grazie anche alla possibilità che mi è stata offerta dalla produttrice Maria Grazia Cucinotta e dalla regista Donatella Maiorca di partecipare alla scrittura dei dialoghi del film. Grazie a loro e agli sceneggiatori, Pina Mandolfo in testa, l’anima del mio testo è rimasta tale e quale nel film. Certo, quando scrivevo avevo davanti a me la pellicola con le immagini, ma questo mi succede sempre quando entro dentro una storia. Il privilegio è stato quello di riconoscere nella scelta di alcuni attori i miei.

La “Viola di mare” è una metafora del quieto vivere, dove tutti fanno finta di credere ad una finzione perché è meglio di una verità scomoda. Quanto pensi ci sia di uguale fra la Sicilia di fine ‘800 dell’opera e la Sicilia, l’Italia, di oggi?

Il coro greco è rimasto immutato. Vigila, giudica, controlla e opera alle spalle dei protagonisti. Col dito puntato muove i fili della storie di tutti. Pure di quelli che si credono liberi.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Preparo un corso di scrittura creativa per la scuola italiana della Middlebury University (Vermont). E poi c’è una storia che sta bussando. Ancora un paio di mesi e apro le porte.

LDM