A NIGHT A THE OPERA, 1975

 

Arriva il ’75 e, con lui, l’album che ha fatto storia, primo n° 1 per la band: è A NIGHT AT THE OPERA, dal titolo di un film dei fratelli Marx.

Il long play (LP) si apre con un incazzoso, ma molto, molto sentito “ringraziamento” al precedente manager, “a real motherfucker of a gentleman” (Death On Two Legs).

Lazing On A Sunday Afternoon, così come Seaside Rendez-vous, è un brano vaudeville che riprende stile e suoni un po’ datati, per Freddie sono momenti di puro divertimento e della seconda disse: «Ha un’aria da musica anni Venti, e Roger fa la tuba e il clarinetto con la voce, non so se mi spiego. Un giorno gli farò anche ballare il tip tap. Gli dovrò comprare delle scarpette da Ginger Rodgers.»

Però anche Roger, in questo album, ha modo di divertirsi: I’m In Love With My Car è una sua canzone in 6/8, tempo non proprio usuale nel rock, dedicata a un roadie appassionato di auto. Verrà per molti anni eseguita live (con Freddie al piano e ai cori): un piccolo momento di gloria per il batterista, che di solito è sempre in secondo piano e adombrato dai suoi stessi piatti.

You’re My Best Friend è la dimostrazione che Misfire, dell’anno precedente, è stato letteralmente una cilecca di John. Quest’altra composizione, pur semplice, è un piccolo momento di piacere, nonché una buona dedica per ogni migliore amico. Anche Brian, con ’39, finalmente indovina un brano adatto alla sua voce. Inserito nel genere skiffle, ’39 narra di un viaggio nello spazio di alcuni volontari che partono nel 1939 e tornano pensando sia passato un anno quando, invece, sulla Terra ne sono passati cento. Questa canzone, assieme a Love Of My Life e a molte altre di questo album, diventerà un classico dei live. Eseguita anche negli ultimi tour, del 2005 e 2008.

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Sweet Lady e The Prophet’s Song sono due bombe ad orologeria. Piuttosto sottovalutate, peraltro. Nella prima, un incavolato Brian (immagine che non riesco a visualizzare nella mia testa: Brian e incavolato sembrano stonare nella stessa frase) se la prende con una ragazza che lo trattava come un cane. Nel commento all’album Brian disse di aver avuto in testa quella canzone e quei suoni per molto, molto tempo e di essere riuscito solo in questo album a realizzare ciò che aveva in mente.

Mentre la prima rimane un ottimo hard rock, The Prophet’s Song è più sperimentale e ammetto che per apprezzare l’assolo di voce centrale ci ho messo un bel po’! Ora è, invece, una delle mie canzoni preferite in assoluto.

Good Company è l’ennesima intrusione delle Regine in un genere che da una rock band non ti aspetteresti. Scritta, cantata e arrangiata magnificamente da Brian, ci catapulta nel buon vecchio dixieland.

Come penultima canzone di ANATO troviamo LA canzone dei Queen, quella che li ha resi celebri e immortali, quella di cui abbiamo sentito alcune note ieri sera, nella cerimonia di chiusura, e due settimane fa, nella cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra. Sto parlando di Bohemian Rhapsody. Tutto è stato detto su questo brano, sicché ogni altra parola potrebbe risultare di troppo (e non vorrei mai fare la Icardi-Caprarica della situazione!), e mille versioni ne sono state fatte, alcune discutibili, altre geniali. Io, dovendo sceglierne una, preferisco questa:

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Chiude l’album – e ogni concerto dei Queen – nientepopodimeno che l’inno britannico God Save The Queen, arrangiato dal riccioluto May che dieci anni fa, in occasione del Giubileo della Regina (quella vera), ebbe l’onore di suonarlo sul tetto di Buckingham Palace. My goodness, quanto sono inglesi gli inglesi!

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