Pietro Grasso Liberi tutti

Il 22 luglio scorso, presso il Giardino dell’ex Convento Oblate di Borgo a Mozzano (LU), nell’ambito degli “Incontri al Teatro di Verzura”, il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso ha presentato Liberi tutti. Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia, edito da Sperling & Kupfer nella collana “Saggi”.

Nella deliziosa cornice del Giardino di verzura, Pietro Grasso è partito proprio da quel “Liberi tutti” che dà il titolo al libro per affabulare la ricca platea di ascoltatori con una trama di ricordi e riflessioni. La fonte di ispirazione del titolo – ha rivelato Grasso – è stata il “tana libera tutti” del nascondino, momento in cui l’ultimo componente nascosto riesce ad arrivare alla base e a liberare gli altri suoi compagni.

Questa, tuttavia, non è una metafora applicabile al vivere quotidiano e concreto. Non dobbiamo né possiamo più starcene indolenti nell’attesa dell’eroe che cancellerà da solo il crimine organizzato con un colpo di spugna, senza che il resto della comunità muova un dito. Ognuno di noi deve diventare “liberatore” contemporaneamente di se stesso e degli altri, in un gioco reciproco di scambio.

Grasso ha messo in evidenza come risulti sempre più difficile riuscire a seguire e comprendere l’evoluzione delle Mafie, includendo in questo termine ogni organizzazione criminale simile a Cosa Nostra. Come un organismo, infatti, esse evolvono, si adattano alle situazioni, all’ambiente in cui trovano terreno fertile. Difatti, come ha spiegato il Procuratore Nazionale Antimafia, negli ultimi decenni la Mafia in senso stretto, ovvero Cosa Nostra, così come la si conosceva non esiste più. Da organizzazione criminale profondamente radicata al territorio e alle tradizioni, essa ha subito diverse mutazioni e cambiato le sue strategie, arrivando a stringere legami con le reti dei mercati. Di conseguenza, allo stato attuale Cosa Nostra fa affari non solo con le altre Mafie italiane (‘Ndrangheta, Sacra Corona, Camorra), ma cerca e trova interlocutori anche all’estero.

Grasso ha poi raccontato come una volta, trovandosi a interrogare un collaboratore di giustizia, non abbia resistito dal chiedergli “Quando finirà la Mafia?“. Ebbene, questo prese la domanda alla lontana raccontandogli l’aneddoto di un giovane che era andato da lui a elemosinare un lavoro per sfamare la famiglia. Ovviamente, il collaboratore di giustizia l’aveva mandato da un tale suggerendogli di fargli presente chi l’avesse raccomandato. Naturalmente la raccomandazione era andata a buon fine e il ragazzo era tornato a ringraziarlo perché da quel momento poteva dar da mangiare alla figlia appena nata. “Ecco – aveva concluso il collaboratore – finché ci sarà un ragazzo che verrà a cercare aiuto da noi e non da voi, la Mafia continuerà ad esistere”.

Prendendo spunto proprio da questo aneddoto, Grasso ha spiegato come sia esattamente questo ciò che fanno le Mafie: mantenere il cittadino in uno stato di continuo bisogno e porsi da intermediarie tra questo e la persona che può soddisfare tale bisogno. È per questo motivo che tali organizzazioni criminali sono alla continua ricerca di interlocutori politici e istituzionali con cui allearsi per trarre il maggior profitto da coloro che si trovano nello stato di bisogno di cui sopra.

Il Procuratore Nazionale Antimafia ha concluso il suo intervento precisando la differenza che esiste tra la figura del maestro e quella del testimone. Il primo è colui che predica dall’alto del suo pulpito immacolato ciò che è bene e ciò che è male. Il secondo, invece, è chi lastrica quotidianamente la propria strada di legalità, chi mantiene salda la propria integrità morale.

A dimostrazione che esiste un’alternativa al “puzzo del compromesso morale”, Grasso ha riportato diversi esempi, tra cui la storia di un ragazzo che per sua sfortuna è nato in una famiglia mafiosa. Questo ragazzo, quando ancora era adolescente, ha scelto di denunciare i componenti mafiosi della famiglia, ha ricevuto protezione da parte dello Stato e si è rifatto una vita diventando uno stimato ingegnere in terra straniera.

Lui ce l’ha fatta, ha avuto il coraggio di liberare se stesso e di aggiungere una tessera al mosaico della libertà altrui. Cosa accade, però, ogniqualvolta ognuno di noi si trova di fronte a quel bivio? Da una parte l’essere maestri, dall’altra il diventare testimoni. Abbiamo il coraggio e la forza di scegliere quest’ultima via o preferiamo la più comoda stasi del pulpito?