Nota storica per iniziare:

i Queen si formano nel 1970 a Londra, dall’amicizia di Freddie Mercury (nato Farrokh Bulsara) con i membri, Brian May e Roger Taylor, di un precedente gruppo chiamato Smile. Dal 1971 la formazione si completa con l’arrivo del bassista, John Deacon. Da allora, fino alla morte di Mercury nel ’91, la line-up è rimasta invariata, salvo l’aggiunta di un tastierista nei live degli anni ’80.

Sul nome, Freddie ebbe a dire: «Avevo pensato subito al nome Queen. Aveva un che di regale e suonava splendido. Una sigla forte, universale, immediata. Era molto evocativa e aperta a ogni sorta di interpretazione. Era grandiosa e alludeva a un mucchio di cose, al teatro per esempio. Molto pomposa, con ogni sorta di connotazioni. Era carica di significati, non un’etichetta limitata.»

QUEEN, 1973

È il primo album. Forse un po’ acerbo (vi compare anche una canzone, Doing Alright, dei vecchi Smile, firmata appunto May/Staffel), ma già con spunti interessanti. Considerando che i Queen sono al debutto e che l’album è stato registrato sfruttando i momenti in cui lo studio non era occupato da altri artisti, be’, è praticamente un capolavoro.

 

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Si comincia con la potente Keep Yourself Alive, così definita da Freddie: «Fu un gran bel modo di spiegare alla gente cos’erano i Queen in quei giorni.» Una curiosità sul brano: è stato il primo singolo (Lato A, con Son and Daughter) e l’ultimo (Lato B, con The Show Must Go On) dei Queen con il loro frontman ancora vivo. Come un cerchio che si chiude.

Great King Rat e My Fairy King danno un buon assaggio di quello che sarà il segno distintivo della band in quei primi anni: cori e sovraincisioni, testi visionari, melodie complesse e cambi di tempo.
Per quanto riguarda la seconda canzone citata, vi accenno tre punti in cui mi viene a mancare il fiato: nel falsetto iniziale di Freddie; nel duetto Roger-Freddie: “Then came man to savage in the night, to run like thieves and to kill like knives…”; e infine quando Freddie dice: “Mother Mercury, look what they’ve done to me, I cannot run, I cannot hide”.

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In origine, Liar si intitolava Lover… be’, si sa: i due termini sono quasi sempre sinonimi, niente di che stupirsi. Comunque è una delle chicche sconosciute, anzi, dimenticate delle Regine. Scommetto che non l’avevate mai sentita. Sbaglio?

The Night Comes Down, la notte scende, mentre la voce di Freddie sale, sale, sale… (che non è quello che invocava quest’inverno Alemanno!) Dopo una lunga introduzione, arriva il falsetto di Freddie, per parlarci della perdita di fiducia negli altri e in se stesso e dell’indecisione, mista a depressione che ne deriva. ‘Na tristezza, insomma. E anche la musica si assesta su quel mood, con un ossessivo battere dei quarti.

Modern Times Rock ‘n’ Roll, scritta e cantata Roger, pur non essendo un capolavoro, offre uno stacco netto all’interno della sonorità inconfondibile marcata dalla Red Special di Brian e dalla voce di Freddie.

Mi sono sempre chiesta se il verso “I want you to be a woman” di Son and Daughter fosse un’istigazione alla transessualità. Mentre so per certo che Jesus, pur avendo un testo religioso, non è un inno al cristianesimo, descrive tre momenti della vita di Cristo, sì, ma fu ispirata dalla vista di alcune persone che uscivano da messa una domenica mattina. Nessuna conversione sulla via di Kensington.

L’album si conclude con Seven Seas Of Rhye, brano strumentale che sembra essere messo lì un po’ a caso, fortunatamente è stato ripreso e completato nel secondo album. Tu chiamale, se vuoi, sperimentazioni!

 

N.B. Tutte le citazioni – esclusi i testi delle canzoni – sono prese dal volume “Freddie Mercury, Parole e pensieri” a cura di Greg Brooks e Simon Lupton. Mondadori, 2008.